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L’uccisione di Giulia: tra delitto e personalità psicopatologiche

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Foto di Giulia Cecchetin
Foto di Giulia Cecchetin

La morte di Giulia Cecchetin ha suscitato, come logico che sia, sentimenti di costernazione, rabbia, impotenza in ognuno di noi e tutti ci siamo chiesti come sia potuto accadere, come ha fatto la vittima a continuare ad uscire con un ragazzo che per sua sfortuna si è macchiato di un feroce delitto. Il titolo di un libro di una grande terapeuta ormai scomparsa, Rose Galante, che per quasi tutta la sua vita professionale si è occupata di violenza di genere pone un interrogativo inquietante: Perché non lo lascio? Nel caso di Giulia dovremmo chiederci: perché ci esco quando l’ho già lasciato? È racchiuso in queste due domande il grande dramma di tante ragazze che si ritrovano avvinghiate all’interno di una relazione che contiene tutti i presupposti di ordine psicopatologico e che dai giornalisti per comodità è stata definita “tossica”. Quest’ultimo termine non permette, comunque, di comprendere i complessi meccanismi che si nascondono dietro una relazione di questo tipo. Da un lato, c’è Filippo che per le poche notizie che abbiamo a nostra disposizione è un ragazzo di buona famiglia che sia all’interno delle mura domestiche che all’esterno non aveva mai avuto comportamenti di tipo aggressivo.

L’unica stranezza, se può essere definita tale, è che amava la vita solitaria e per tale motivo spesso faceva delle lunghe passeggiate di trekking da solo sui Colli Euganei.  A dire del padre era un timido che, a volte, mostrava un’eccessiva gelosia che rasentava la possessività. Inoltre, era un ragazzo perfetto che non gli aveva mai dato problemi e che aveva tutto.  Da queste poche frasi possiamo iniziare forse a ipotizzare i motivi che si nascondono dietro questa immane tragedia. La gelosia, in particolar modo quella possessiva, non può essere mai considerata normale, o peggio ancora, come un segno d’amore.

Essa non è, infatti, come nelle visioni romantiche una spezia che condisce l’amore ma, semmai, come riportato in un celebre saggio del Prof. Zino, la sua ratio è cheil bisogno di avere un senso, un fondamento, non passa più dall’amore ma dal risentimento. Come sappiamo quest’ultimo è una delle figure dell’odio, del lavoro dell’odio. La gelosia non è un discorso dell’amore ………… ma un discorso dell’odio. L’inganno, il sospetto, la malafede, diventano il nutrimento del geloso. Ed allora non sa più parlare d’amore”.  Inoltre, come afferma la Dott.ssa Frandina, anche lei autrice di un libro sulla gelosia, il timore di perdere l’affetto della persona amata è legato alla soddisfazione dei bisogni di sicurezza affettiva, di contenimento, di holding. Alla base di questa forma di gelosia c’è la convinzione che la persona amata ci appartenga, il timore che qualcuno che sentiamo come rivale possa portarcela via, la previsione che, se ciò dovesse accadere, l’immagine del Sé risulterebbe profondamente colpita”.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

È nell’appartenere che può essere trovato il movente che ha portato Filippo ad uccidere Giulia. Il possesso della persona amata crea lo spazio psicologico per la violenza che non è vuoto ma si riempie di simboli, miti e rituali violenti. Il possesso uccide l’altro come persona portatore di pensieri, desideri, interessi, credenze sue proprie. Il possesso è un potente attacco al legame tra due persone poiché, come messo in luce da Cigoli e Scabini, diventa talmente imperioso da costituire l’unico modo di vivere la vita ed è contraddistinto dall’utilizzo di tecniche quali “quali la seduzione, la minaccia, la delegittimazione, l’umiliazione, l’opposizione fredda, la corruzione”.

A volte, dietro simili atteggiamenti si cela un disturbo narcisistico di personalità e, tante altre volte, l’errata convinzione che la donna sia un oggetto che i maschi possono utilizzare a loro piacimento. Sebbene alla fine il risultato sia uguale è importante capire se dietro la violenza ci sia un’effettiva patologia o, semplicemente, una convinzione trasmessa sul piano culturale. Infatti, la patologia non deve diventare sia un alibi sia un modo per non affrontare sul piano educativo le storture tipiche di alcuni atteggiamenti che considerano la donna come sottoposta ai voleri del maschio. Non tutti i maschi che uccidono sono affetti da patologie. Semmai, dobbiamo fare i conti con delle radicate convinzioni che, ad esempio, considerano la gelosia come un elemento essenziale dell’amore, anzi come parte integrante del romanticismo dell’amore: “era geloso come un qualsiasi ragazzo della sua età”.

Una persona, come sembrerebbe dalle evidenze investigative, in grado di pianificare e mettere in atto un omicidio come quello commesso da Filippo non è una persona normalmente gelosa ma, al contrario, è guidato da forti motivazioni sebbene deliranti e insane. Il gesto di ammazzare Giulia non è casuale poiché tenta di portare il legame da un tempo finito ad uno senza tempo. La morte non interrompe il legame ma lo conserva per sempre. La morte rinnova il legame in quanto lo rende trasmissibile come afferma E. Severino “La presenza è sempre, e non coincide con l’apparire e lo sparire”. Anzi la morte, essendo un tempo indefinito rispetto alla vita, permettendo la trasmissibilità e l’eredità, rende il legame eterno. Galimberti arriva a sostenere che “Non è la morte a estinguere l’amore, ma la nostra rimozione che vuol dimenticare tutto ciò che quell’amore in noi ha generato, affidandosi a quel malfamato luogo comune, secondo il quale il tempo porta rimedio. Nel tempo c’è solo infedeltà. Solo nell’amore c’è eternità”.

Foto di swinsil da Pixabay
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Sartre a tal proposito scrive: “Essendo morta la sua vita, solo la memoria dell’altro può impedire che si avvizzisca tagliando tutti i suoi ormeggi col presente. La caratteristica di una vita morta è di essere una vita di cui l’altro diventa il guardiano”. Ecco l’intento di Filippo legare per sempre a sé Giulia, riempire un vuoto che avrebbe messo in crisi la sua stessa identità ovvero ciò che si cela dietro la sua perfezione di “ragazzo che non aveva mai dato problemi”. La inaccettabilità della perdita, la mancata capacità di sopportare stress e frustrazioni porta a un male tipico della cultura digitale e social che domina le nostre vite.  L’avere, il possedere tutto immediatamente, quasi in tempo reale, si scontra con il principio di realtà, degli ostacoli di cui è piena l’esistenza umana. L’altro non viene riconosciuto nella sua vera essenza ma, semplicemente, come il contenitore sul quale proiettare i propri desideri. Non è un caso la richiesta di Filippo a Giulia di fermarsi con gli esami per potersi quantomeno laurearsi insieme.

La relazione non serve tanto a stabilire un rapporto autentico ma una modalità per poter dimostrare il proprio valore. Le dinamiche sociali e culturali tipiche delle recenti generazioni stanno producendo nuove forme di patologia che sono contrassegnate dal bisogno di successo, di una forte affermazione dell’Io: è nel bisogno di visibilità insito nella cultura social che si assiste ad una forte espansione del sentimento di sé fino a diventare una forma di narcisismo che mette al centro dell’interesse il proprio Io e non tiene conto dell’Altro. Inseguire l’autosufficienza in cui l’altro diventa superfluo sconvolge due dei principi cardine dello sviluppo umano. Il riconoscimento prevede lo specchiarsi nell’altro: io mi riconosco nella misura in cui posso riconoscermi nell’altro in una continua reciprocità e circolarità. Allo stesso modo io posso appartenere solo nella misura in cui appartengo all’altro e quest’ultimo appartiene a me. Escludere l’altro significa rinunciare a due delle esigenze primarie dell’uomo: il bisogno di riconoscimento e di appartenenza.

Il soggettivismo spinto che tende ad escludere l’oggetto è un precursore della patologia. Filippo non tiene in nessun conto il parere di Giulia e anche dopo averla uccisa continua a chiamarla la mia ragazza. L’assenza dell’altro, il vuoto è possibile coglierlo, inoltre, in nuove forme patologiche o nella rivisitazione delle vecchie attraverso la “patologia dell’immediatezza” che è il principio che determina la forma delle relazioni sociali nella contemporaneità. Così come da tempo ha ben compreso la sociologia, soprattutto attraverso le teorie di Baumann, il passaggio dalla società della comunicazione a quella dei social e delle iperconnessioni ha comportato la modificazione del principio di velocità in un nuovo imperativo: la necessità dell’immediatezza. In una società il cui tratto distintivo è diventata l’estetica, la ricerca del successo a tutti i costi, Baumann ha descritto la relazione tra l’Io e l’Altro come una fornitura di beni e servizi del secondo nei confronti del primo. L’Io non ricerca l’Altro nella sua essenza ed autenticità ma semplicemente per soddisfare le sue esigenze.

Immagine da Pixabay.it
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Ecco perché Filippo continua, malgrado Giulia non ne volesse più sapere, a chiamarla la mia ragazza: la sua stessa esistenza era legata a questa relazione. Non è anche qui un caso, come riporta il papà di Filippo, che avesse detto più volte ai suoi genitori che se Giulia continuava nel suo intento di non avere più una relazione con lui si sarebbe ucciso. Era questo suo intento che doveva mettere in allarme i genitori e la stessa ragazza. Al contrario Giulia, come succede spesso in questi casi, pensa di poterlo controllare e/o salvare. Purtroppo per lei, si salva semplicemente chi vuole salvarsi: Filippo non voleva né curarsi né salvarsi. In tutti questi casi bisogna prendere coscienza che di fronte al controllo, al ricatto, alle minacce bisogna allontanarsi senza se e senza ma. Di fronte alle minacce di suicidio, inoltre,  basta andare a rileggersi I dolori del giovane Werther e le Ultime lettere di Jacopo Ortis. Il suicidio, come l’uccisione dell’altro, si lega indissolubilmente con l’idea della morte. Se la morte rende i legami eterni, il suicidio, di conseguenza, sarebbe l’estremo tentativo per trasportare il legame all’interno in un tempo indefinito come l’eternità.

Con tutto ciò si è dovuta confrontare Giulia, come tante altre donne vittime di uomini che, sotto un’apparenza di normalità, nascondono patologie difficilmente diagnosticabili anche dai professionisti. Però un consiglio posso darlo: quando si tagliano le relazioni bisogna utilizzare l’accetta e tagliare definitivamente.

Il resto è uno stillicidio che si condensa nelle 27 coltellate con cui è stata uccisa Giulia.

A CURA DEL PROF.MARIANO INDELICATO.
PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA E DOCENTE PRESSO UNIV. MESSINA

 

 

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